Resoconto della riunione del
20 luglio
Erano presenti compagni
provenienti da otto città a cui va aggiunto un compagno di Taranto che, non potendo
trattenersi a Napoli per la riunione, si è incontrato Il giorno precedente con
alcuni dei partecipanti esprimendo la sua adesione e il proprio punto di vista.
Altri compagni di altre città, non potendo per motivi diversi essere presenti,
hanno inviato contributi scritti.
I punti essenziali della
riunione erano stati anticipati per iscritto, per cui l’introduzione alla
discussione si è limitata a sottolineare alcuni aspetti dell’iniziativa e a
poche raccomandazioni.
Il dibattito è stato franco
e senza elementi di diversità se non quello tra chi sottolineava l’esigenza di
concretezza e di operatività e avrebbe preferito centrare il confronto sugli
aspetti programmatici e organizzativi, e chi pensava che fosse necessario inquadrare
la discussione sul “che fare?” – e, quindi sul programma e sulle soluzioni
organizzative del lavoro – all’interno di un chiarimento maggiormente
approfondito sul contesto contemporaneo e sui compiti del costituendo Centro.
Le diversità emerse – mai
antagoniste e scaturenti da approcci ed esperienze differenti assolutamente
fisiologici in una realtà così complessa e frammentata – sono state assunte
giustamente e costruttivamente come momenti di confronto all’interno dei
percorsi programmatici di ricerca da compiere.
Questo andamento della
riunione e lo spirito costruttivo che l’hanno animata hanno consigliato alla
fine di redigere, piuttosto che un resoconto dettagliato del dibattito, una
sintesi politica che esprimesse la sostanziale unità di intenti e inquadrasse
proposte ed elementi di programma all’interno un’analisi e di un progetto
condivisi.
Questa sintesi, poiché il
Centro non è ancora strutturato, può essere non soltanto un contributo
informativo ai tanti compagni che non sono potuti essere presenti all’incontro,
ma anche una base di discussione e di partecipazione nelle prossime settimane,
in preparazione dei futuri impegni di lavoro. I contenuti dei contributi
preparatori della riunione, poiché hanno registrato un sostanziale consenso, si
intendono concordemente richiamati e riproposti.
* * *
La scelta di ripartire dalla
figura e dall’opera del compagno Stalin in occasione del 60° della sua
scomparsa non è stata casuale ed ha il carattere di una sfida alla
demonizzazione che è stata fatta del comunismo a partire proprio
dall’esperienza di transizione verso il socialismo realizzata nell’Unione
Sovietica. In tal senso il XX° Congresso del PCUS del 1956 costituisce lo
spartiacque nella storia non soltanto del movimento operaio e comunista, ma
dell’intero Novecento. Piuttosto che accettare la sfida che la crescita delle
forze produttive e l’acutizzarsi dello scontro di classe a livello planetario
poneva, Kruscev preferì la più semplice strada dell’oppotunismo. Per attuare
questo scellerato disegno, però, bisognava sgombrare il terreno dall’esperienza
straordinaria realizzata e dalla fiducia del proletariato sovietico e
internazionale in chi quell’esperienza aveva incarnato e realizzato. Il nemico
di classe – a cui fino ad allora l’esperienza gloriosa dei Soviet e la figura
di Stalin avevano imposto timore e rispetto – fece irruzione immediatamente nel varco aperto dal “rapporto
segreto” e da quel momento scatenò un attacco ininterrotto e forsennato
all’esperienza e all’idea stessa di comunismo. I nemici – vecchi e nuovi, con
alla testa i trotzkisti – interni al movimento comunista si resero complici di
questo attacco demolendo, pezzo per pezzo, nel tempo, il prestigio e la fiducia
di massa nel comunismo rivoluzionario praticando percorsi teorici e pratici via
via sempre più connotati da ogni forma di opportunismo. Il contrasto a questa
deriva incontrava enormi difficoltà teoriche, politiche e organizzative. Le
conseguenze portarono a profonde contraddizioni nel movimento comunista
internazionale e nazionale, a divisioni traumatiche, spesso all’isolamento di
avanguardie in posizioni dogmatiche e minoritarie che lasciavano immensi spazi
al ritorno massiccio di teorizzazioni e pratiche spontaneiste, operaiste o
anarchiste, sempre volontariste. L’inarrestabile decadimento e il definitivo
allontanamento dai contenuti e dal metodo del socialismo scientifico, insieme
con l’implacabile accanimento del nemico di classe, in presenza di
contraddizioni obbiettive sempre più acute, portarono perfino allo scioglimento
di molti partiti comunisti. Tra essi, anche del PCUS e del PCI.
In Italia lo straordinario
prestigio accumulato – dal partito e dal sindacato – consentì ai liquidatori di
mantenere una sostanziale e vasta egemonia sulla classe lavoratrice. Molti,
tuttavia, furono i comunisti che decisero di opporsi a questa scelta e di ricostruire
il partito, anche riunendosi, pur provenendo da esperienze diverse e, talvolta,
conflittuali. Fu quella l’unica volta, forse, che i comunisti interruppero la
tendenza alla separazione e alla diaspora. Ma il tentativo – connotato da
dirigenti paludati di immeritato carisma – fu quello di “rifondare” il partito
disciolto, di riprodurre un organismo già malato: il distacco, ormai
incolmabile, dalla teoria, spesso l’insofferenza verso di essa, aprirono la
strada ad ogni sorta di opportunismo, a forme grottesche di frazionismo e,
infine, allo scissionismo e alla diaspora.
La crisi del comunismo,
iniziata alla metà del secolo scorso, è stata speculare a quella del
capitalismo, interna al momento storico che sta rapidamente andando al punto di
non ritorno del modo di produzione capitalistico, ormai giunto al limite delle
sue potenzialità di sviluppo. Nella prima metà del ‘900 il movimento comunista
– correttamente orientato e diretto dal pensiero critico marxista – aveva
saputo dare risposte positive alla crisi già in atto del capitale, incalzandolo
e proponendo concretamente una prospettiva e un’alternativa di transizione. I
nodi politici accumulatisi, le difficoltà incipienti del capitalismo ancora
basato sul gigantismo industriale, sul fordismo e sul taylorismo, sulla
rigidità di mezzi di produzione, la necessità di immettere nella realtà
produttiva e sociale le nuove straordinarie acquisizioni del sapere umano
giunte a maturazione e in via di ulteriore straordinaria crescita, ponevano
problemi che solo il rigore teorico del socialismo scientifico avrebbe potuto
affrontare con successo. La scelta krusceviana del ’56 segnò la rinuncia ad
affrontare il compito che la storia poneva al movimento comunista, così come il
progressivo allontanamento dal proprio patrimonio culturale inaridiva la sua
capacità d’analisi e di proposizione di alternativa, costringendolo alla
difensiva e ad accettare – perfino a condividere – orizzonti e soluzioni che il
nemico di classe imponeva non più solo con la forza, ma con la corruzione ideologica
dei media e con l’opportunismo nella “politica”.
In questa terribile deriva
che seminava pessimismo e sfiducia perfino tra i militanti, si consumava il
distacco tra la classe lavoratrice e chi – molto spesso in modo del tutto
arbitrario e falso – ancora continuava a dirsi comunista. Tuttavia, pur in
tanta desolazione, moltissimi compagni ostinatamente continuavano a credere, a
proporre e a lottare per un orizzonte comunista. In questi anni alcuni militanti
hanno proposto forme organizzate volte ad una ripresa politica; coraggiosi
intellettuali non hanno rinunciato ad elaborare interessanti analisi di questa
o quella contraddizione del nostro tempo; ovunque le condizioni materiali
diventavano insopportabili – e in
parallelo con la crisi della rappresentanza istituzionale e politica – gruppi e
masse di lavoratori, di giovani, di oppressi diventavano essi stessi promotori
e protagonisti della lotta, pur scontando, naturalmente, tutti i limiti e gli
errori dello spontaneismo e di un orientamento soltanto genericamente
anticapitalista e ribelle. Il sostanziale isolamento, determinato dalla
parcellizzazione, dall’autoreferenzialità, dalla persistente carenza di
strutturazione teorica, ha vanificato e rischia di continuare a dissipare
questi sforzi e queste potenzialità.
Il compito che la storia
consegna a chi vuole oggi dare il proprio contributo per invertire questa
deriva non può essere quello di replicare all’infinito i tentativi fin qui messi
in campo, ma quello di intervenire sul nodo decisivo di questa realtà devastata
e bloccata. Si tratta, non di sovrapporsi e contrapporsi saccentemente a
nessuno, ma, all’opposto, di affiancare le esperienze in campo e dare il
proprio contributo perché la forza del socialismo scientifico torni ad
orientarle con la sua capacità di analisi e di proposizione. È questa l’unica
strada perché, tutti e ciascuno, attraverso la lotta ideologica attiva, il
confronto e – in prospettiva – una comune pratica di lotta possano giungere ad
una sintesi unitaria.
Il costituendo “Centro
comunista di documentazione, ricerca e formazione” rappresenta la scelta
militante di chi vuole accettare questa sfida.
* * *
Sul piano progettuale, se è
prematuro parlare fin d’ora di un organico programma di lavoro è, tuttavia,
possibile e necessario discutere e definire i possibili percorsi di ricerca e
di lavoro sulla base delle linee generali e delle proposte pervenute. Naturalmente
dovunque sia possibile è opportuno che si passi al più presto dalla fase
meramente progettuale ad una operativa, seppure parziale, purché fondata su
reali potenzialità e disponibilità. Queste esperienze potranno essere di
stimolo, ma anche laboratori per verificare e impostare il lavoro da compiere
centralmente e perifericamente.
Per rimanere con i piedi ben
saldi nella realtà del possibile e non ripetere la deriva di proposte analoghe
del passato, è stato raccomandato di tenere in debito conto che le differenze
esistenti nel movimento comunista contemporaneo – e, dunque, anche nel Centro e
nelle realtà con cui si cercherà di collaborare – richiedono tempi necessari e
modalità che sfuggano per un verso all’eclettismo e per l’altro al dogmatismo,
nel rigore, senza indulgenze opportuniste né chiusure schematiche. Il programma
di lavoro dovrà, quindi, essere molto realistico e basato sulle risorse
concretamente disponibili e per questo, probabilmente, articolato per fasi.
Propedeutico è realizzare una mappatura di queste risorse (umane,
professionali, tecniche, strumentali, etc.) presenti nel Centro o, all’esterno,
in realtà con cui si cercherà di interloquire e collaborare. Su tali basi deve
essere stilato un “canovaccio” delle diverse ipotesi di lavoro proposte da
sottoporre al dibattito.
Poiché le differenze
esistenti sono riconducibili a nodi della nostra storia o della più generale
realtà contemporanea non affrontati e sciolti concordemente, occorrerà avere la
piena disponibilità ad affrontare queste questioni – senza “sconti”, ma con
spirito unitario e collaborativo – nella consapevolezza che questi percorsi,
anche quando dovessero confermare punti di vista diversi, sono fondamentali per
raggiungere livelli più elevati di collaborazione e di unità perché sempre
riconducibili a questioni e a esigenze teoriche e politiche più generali e
comuni.
In tal senso la
raccomandazione di alcuni compagni a non considerare la morte di Stalin e il XX°
Congresso del PCUS come conclusivi dell’esperienza positiva novecentesca del
marxismo-leninismo è significativa perché inquadra esattamente una delle
questioni da affrontare, in uno con l’altra indicazione venuta da quasi tutti i
compagni di approfondire tutte le diverse esperienze di transizione, quelle
interrotte e quelle che proseguono il proprio cammino, come quelle che debbono
ancora essere avviate e ricercano una strada praticabile nelle condizioni di
quest’epoca storica. Perché, in realtà, il compito del Centro è di contribuire
a realizzare la critica – vale dire il superamento concreto in senso socialista
– del modo di produzione capitalistico.
È stato sottolineato con
forza che la straordinaria accelerazione della conoscenza scientifica e della
sua applicazione al processo di produzione e di scambio della ricchezza – con
la inevitabile “tracimazione” in tutti gli ambiti della società – ha portato a
compimento il processo di sussunzione del sapere da parte del capitale
realizzandone, ad un tempo, la socializzazione funzionale e la espropriazione
sostanziale e formale. Questo fenomeno e le conseguenze che lo accompagnano
aprono un’altra contraddizione insanabile nella società dominata dal capitale e
impongono ai comunisti di affrontarla nelle proprie analisi e nelle proprie
strategie. Tanto più che, con la scienza, anche la formazione è stata sussunta
dal capitale nel suo processo di accumulazione ed appropriazione della
ricchezza. E questo dà centralità alle problematiche della didattica nella
scuola e dell’università ben oltre l’orizzonte pubblico-privato o il generico
monito sulla sua importanza strategica in cui sono state circoscritte: su di
esse non si gioca il destino – produttivo soltanto, politicamente neutro –
della società, ma il suo sviluppo solidale e socialista. Ed è un ambito che vede
circa 11.000.000 di protagonisti tra giovani e docenti – circa un sesto della
popolazione italiana – giustamente inquieti e irrequieti per la loro condizione
e per il loro futuro.
A partire da questo
orientamento strategico i compagni hanno evidenziato alcuni percorsi di lavoro
più specifici e fatto alcune riflessioni o raccomandazioni.
In primo luogo è stato
suggerito di prestare estrema attenzione all’istituto dell’apprendistato che il
capitale ha riscoperto demagogicamente come ricongiunzione della formazione con
la produzione, e che conclude il percorso di totale precarizzazione della
forza-lavoro. Si tratta della forma drammatica che ha assunto in questa fase di
decadenza terminale del modo di produzione capitalistico la contraddizione
ancora centrale tra capitale e lavoro. È indispensabile che al contrasto, messo
in campo nonostante la complicità delle forze politiche socialdemocratiche e dei
sindacati concertativi, si affianchi un lavoro di approfondimento, di
comprensione, di proposizione che
elevi il livello dello scontro, coordini le forze disponibili e proietti questa
lotta verso orizzonti di chiara connotazione politica. E questo apre altri
percorsi necessari di approfondimento che sarà necessario intraprendere appena
possibile con le risorse disponibili nel mondo del lavoro salariato: una
riflessione sulla progressiva decadenza del sindacalismo di classe verso quello
concertativo e le caratteristiche di contenuto e di forma che la lotta
economica dei lavoratori debbono assumere nell’epoca del superamento del
fordismo, della flessibilità, del decentramento, della mondializzazione. Da
compagni già impegnati in realtà lavorative di massa molto significative sono
venuti l’auspicio e la disponibilità a finalizzare queste presenze ai percorsi
di approfondimento dell’intreccio di gravi contraddizioni all’ordine del giorno
(occupazione, ambiente, salute, etc.).
Naturalmente tutte le
proposte fatte nella riunione si aggiungono a quelle proposte nei contributi
pervenuti e già riportati nelle anticipazioni preparatorie dell’incontro del 20
luglio a cui direttamente rimandiamo. Tutti insieme sono al vaglio dei compagni
e contribuiscono a formare quel
“canovaccio” di possibili
ambiti di lavoro che bisognerà discutere e decidere insieme. Sarà necessario –
nelle forme e con gli strumenti opportuni e possibili – dare tempestiva
comunicazione di ulteriori proposte, ma anche generalizzare critiche e
osservazioni in modo da rendere effettivamente partecipate e collettive le
decisioni che verranno assunte.
Per concludere questa
ricognizione sull’impostazione e sui contenuti generali del lavoro da realizzare
è necessario aggiungere alcune raccomandazioni avanzate da più parti.
Compagni impegnati da molti
anni nella ricerca scientifica (fisica, astrofisica, biologia, etc.) o in
ambito filosofico e politico hanno raccomandato di prestare finalmente la necessaria
attenzione alle scienze naturali sia per la centralità che esse hanno – e
ancora di più hanno assunto in questo tempo – nella crescita del sapere sociale
e delle contraddizioni economiche, politiche e sociali, sia per l’importanza per
la piena padronanza del metodo del materialismo dialettico come chiave di
lettura anche della realtà storica e sociale.
Altri, invece, hanno
focalizzato questioni di carattere più squisitamente politico e storico.
Tra le prime un modo nuovo
di intendere, praticare e costruire l’internazionalismo nelle mutate condizioni
della storia e delle prospettive.
O, ancora, la crisi definitiva del sistema rappresentativo borghese di
democrazia delegata e i percorsi di involuzione autocratica in atto per
assicurare il dominio sulle classi subalterne e redistribuire e garantire i
privilegi nella classe dominante. In quest’ambito la questione della “riforma”
della Costituzione – che, pur restando nell’ambito della democrazia borghese,
andrebbe tatticamente difesa e attuata – avrebbe bisogno di ben altra
attenzione e mobilitazione di quella messa in campo o prevista dalle anime
belle della socialdemocrazia e del liberalismo.
Questo introduce anche le
ultime proposte di riflessione critica sulla nostra storia. A partire dalla
natura, dalla genesi e dai contenuti della Costituzione una riflessione a 360
gradi sull’esperienza del proletariato e dei comunisti italiani, dalla lotta al
fascismo e dalla Resistenza (che, come suggeriscono i compagni di Genova ha
anche una enorme importanza nella contemporaneità) alle scelte operate nel
dopoguerra – con le “vie nazionali” al socialismo, la “democrazia progressiva”,
etc. – fino alla deriva degli anni ’60 e alla “democrazia compromissoria e
concertativa” degli ultimi decenni.
In merito al “canovaccio” di
un possibile programma di lavoro va aggiunto soltanto che dai giovani compagni
presenti alla riunione è venuta la pressante richiesta di percorsi di ricerca e
di lavoro concreti, legati alle contraddizioni reali che le nuove generazioni
vivono drammaticamente sulla propria pelle e che esse hanno l’esigenza di comprendere,
rispetto alle quali ricercano prospettive di lotta e di cambiamento.
* * *
Come c’era da aspettarsi
alla formazione, agli strumenti di lavoro e alle forme organizzative è stato dato
uno spazio per il momento minore, ma non una diversa attenzione.
Ancora dai giovani è venuto
l’accorata domanda di una formazione che li metta in grado di conoscere
scientificamente la realtà che essi intendono trasformare come protagonisti
attivi. Essi chiedono non soltanto che siano rimessi in campo i valori, le
categorie, gli orizzonti e i metodi del pensiero critico marxista, ma che siano
individuati e praticati percorsi formativi che colmino i vuoti lasciati dalle
istituzioni scolastiche e universitarie e che contrastino la desertificazione
creata dal “senso comune” e dall’ideologia dominante. Essi hanno anche
rimarcato i limiti dell’autoformazione in cui si rifugiano sempre più spesso
tantissimi giovani impegnati nei “movimenti” e che non trovano disponibili
“offerte formative” strutturate.
È stata sottolineata
l’importanza degli strumenti di lavoro, sia per incardinare e sviluppare
scientificamente il lavoro da compiere, sia per articolare correttamente e in
modo effettivamente collettivo il confronto e la collaborazione.
Sul primo punto il pieno
recupero del metodo del socialismo scientifico impone la necessità di disporre
di materiale documentario e bibliografico su cui appoggiare rigorosamente il
lavoro di ricerca e di analisi. Di qui l’importanza di poter disporre di
archivi (anche audiovisivi), di banche dati, di biblioteche, o anche di
conoscerne l’esistenza e di potervi facilmente accedere. Per il momento
possiamo contare soltanto sui fondi esistenti presso il Centro Culturale “La
Città del Sole” di Napoli, ma già son venute proposte e si sono aperte
prospettive per l’acquisizione di importanti fondi documentari e per poter
accedere a banche dati remote. Sarà preciso compito di chi temporaneamente
coordina il lavoro di curare questo aspetto. Tutti i compagni sono impegnati a
suggerire e a collaborare attivamente. Naturalmente le biblioteche – in forma
“cartacea” o digitale – sono irrinunciabili per qualsiasi percorso di
formazione.
Sul secondo punto, in attesa
di poter disporre di un sito web che soddisfi tutte le esigenze del Centro, è
stato allestito un “blog” su cui abbiamo già riportato tutti i passaggi
preparatori e i contributi pervenuti per la riunione del 20 luglio a Napoli, ed
anche questo stesso resoconto. Faremo altrettanto per tutti gli arricchimenti,
le critiche e le proposte che i compagni faranno pervenire, sforzandoci di
mettere nella disponibilità di tutti gli elementi necessari al dibattito e
all’avvio concreto del lavoro. Il suo indirizzo è: http://ccdrf.blogspot.it/. Stiamo
anche predisponendo una “mailing list” per una più rapida, semplice e
soddisfacente circolazione delle idee e del confronto. I compagni sono pregati
di iscriversi o di far pervenire indirizzi che sarà nostra cura inserire per
allargare l’area di conoscenza, sostegno e partecipazione al lavoro del Centro.
Sempre in relazione agli
strumenti necessari, la discussione non ha avuto modo di soffermarsi in modo
particolare sullo strumento editoriale, ma ne è stata da più compagni sottolineata
l’importanza e raccomandato di dedicarvi la necessaria attenzione. Uno dei
compagni ha fatto anche la proposta di dar vita in prospettiva ad un periodico.
Sugli aspetti organizzativi
è stato raccomandato – in attesa che la prossima riunione individui nel
“canovaccio” di proposte più precisi percorsi di lavoro – che ovunque sia
possibile si costituiscano nuclei locali di lavoro specifico, capaci di far
vivere, valorizzare e coordinare le potenzialità esistenti. Saranno esperienze
preziose che potranno essere di stimolo e di esempio in altri territori e anche
centralmente. L’organismo di direzione che il prossimo incontro dovrà
costituire potrà coordinare queste esperienze periferiche e creare gruppi di
lavoro tematici centrali e con terminali locali.
La riunione si è conclusa
con l’invito a tutti i compagni che intendono partecipare a questa esperienza
di far conoscere la propria disponibilità a partecipare a un consiglio di
gestione nazionale che si riunirà il prossimo novembre.
Le attività preparatorie
sono state affidate per motivi logistici ad un gruppo di compagni di Napoli,
Salerno e Roma e aperto, naturalmente, a tutti quelli che volessero
parteciparvi. Questi compagni lavoreranno il più possibile insieme e avranno un
primo incontro a settembre.
28 luglio 2013
Sergio Manes